Elogio per Adamsberg

A margine de La trilogia Adamsberg: L’uomo dei cerchi azzurri-L’uomo a rovescio-Parti in fretta e non tornare 

Adamsberg è un poliziotto inventato da Fred Vargas, alias di Frédérique Audoin-Rouzeau, un’archeozoologa e storica francese, nata nel 1957. È un poliziotto sui generis, forse l’antitesi di Sherlock Holmes. Svagato, poco attento, poco disciplinato, non particolare. Risolve i casi più con l’intuizione che con la logica. Roba da far rabbrividire un amante dei polar serio. Ma non si legge Vargas per il polar. Si legge Vargas per entrare nelle atmosfere rarefatte e quasi magiche di questo universo fatto di bruma e tanti dettagli. Si legge Vargas perché questa è letteratura, bellezza, altro che giallo. Adamsberg mi ricorda Wallander, l’altro poliziotto dolente inventato da Henning Mankel, svedese. Un modo di creare poliziotti e polizieschi che trascende il genere, lo amplia, lo articola e lo rende più profondo. Baricco, che se ne intende, riconosce in lei “strepitosa qualità della scrittura”, frasi ben calibrate, dialoghi impeccabili, aggettivi scelti con cura, ritmo elegante e un’elegante ironia narrativa. Parla anche di Adamsberg come di un personaggio la cui arte sta nel creare “parentesi di nulla” nella vita quotidiana, momenti sospesi in cui la trama inevitabilmente rallenta per lasciare spazio all’intuizione e alla incertezza . Ecco, se Joel Dicker è la Formula 1 del poliziesco, Vargas è il suo Cammino di Santiago. Inutile dire che il primo è noioso proprio come una gara di formula 1, la seconda è quasi un percorso di crescita spirituale.

P.s. Ancora meglio la seconda trilogia di Adamsberg. Da non perdere.

A margine di La scomparsa di Stephanie Mailer di J. Dicker.

“Non vado matto per i gialli, odio i thriller. Lo dico serenamente e senza nessuna fierezza particolare. Semplicemente non fanno per me. Mi dà fastidio fisico trovarmi nella condizione, cara a molti, di divorare un libro per sapere come va a finire. Io trovo già abbastanza inelegante che i libri “vadano a finire”, figuriamoci se mi piace farmi tenere sulla graticola da uno che ci mette cinquecento pagine per dirmi il nome di chi ha tritato il parroco”.

E’ Alessandro Baricco che lo scrive in Una certa idea di mondo e mi è tornato in mente leggendo il libro di Joel Dicker, La scomparsa di Stephanie Mailer, La nave di Teseo, 2019, 708 pagine (altro che 500!). Va detto subito che io sono uno dei molti che amano farsi trascinare, divorare dal libro. Ma questo libro è talmente smaccato nel suo intento di tenerti lì che ad un certo punto osservavo solo il meccanismo. Il libro di Joel Dicker è un vero e proprio prodotto industriale. Baricco scriveva le righe di cui sopra introducendo la sua recensione (quel libro sono tutte recensioni) ai libri di Fred Vargas, La trilogia Adamsberg e basta aver letto quei libri per capire perché – uno che non ama i gialli – apprezzi Fred Vargas. E basta leggere Fred Vargas per capire cosa fa Joel Dicker. Gioca con i nostri bassi istinti, con la vanità e la curiosità impudica del lettore. A pagina 58 avevo capito il perno centrale del libro, avevo ipotizzato con ragionevole speranza il colpevole (è fatto apposta) e a quel punto sei in trappola.
Il libro è pura azione. Concatenazione meccanica e inarrestabile di azioni. Leggendolo ho costantemente avuto l’impressione di essere di fronte ad un prodotto pornografico: solo l’essenziale, nessuna complessità, nessuno spessore, nessuno sforzo, se non quello evidente (là degli attori, qui dello scrittore) di incastrare una trama complicatissima, piena di personaggi che interagiscono tra loro, dialoghi quasi fosse un testo teatrale. Personaggi senza alcuna profondità che si alternavano come dei reels sullo scrolling di Instagram. Evidentemente un prodotto d’intrattenimento adatto ai tempi. 700 pagine che nel momento esatto in cui chiudi il libro scompaiono dal tuo orizzonte. Non rimane nulla, se non la perturbante impressione di aver fatto qualcosa di male per te, come se fossi ricaduto in una qualche forma di vizio deleterio senza riuscirvi a resistere. Quando si dice un prodotto di consumo, beh, eccolo qua, perfetto nella sua forma e sostanza. A suo modo encomiabile, in un certo senso non banale nella sua ricercata banalità. Ah, alla fine il colpevole non era quello che avevo immaginato.