Francis Bacon trovò in The Painter on the Road to Tarascon (1888) di Vincent van Gogh non solo un’immagine, ma una visione potente, che definì come un «phantom of the road» (“fantasma della strada”) . Il dipinto originale, purtroppo distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, giunse a Bacon attraverso una riproduzione a colori, probabilmente un frontespizio di un volume della Phaidon del 1936. Tra il 1956 e il 1957, Bacon realizzò una serie di dipinti ispirati a quel Van Gogh perduto — almeno nove grandi opere secondo gli studi più recenti . In queste variazioni, Bacon intensificò i colori, accostando pennellate energiche e dense, ispirate tanto a Van Gogh quanto a Chaïm Soutine. Studi come Study for Portrait of Van Gogh IV mostrano un paesaggio incline verso l’alto e figure isolate, immerse in ombre opprimenti, che amplificano il senso di isolamento e angoscia.
La critica contemporanea ha osservato nei dipinti di Bacon non solo l’eco del gesto gestuale e del colore incendiario di Van Gogh, ma anche una riflessione sulle fragilità emotive dell’artista, un’identificazione speculare tra due figure tormentate dalla solitudine e dall’incomprensione .



Però il quadro che mi rimase più impresso di Bacon è questo qui. Non credo che in pittura ci sia un modo più forte di rappresentare il dolore, l’angoscia, la solitudine del potere, la distorsione che il potere genera nelle persone.








