Se in Italia c’è uno scrittore con la S maiuscola, uno di quelli che quando leggi, non pensi “beh questo lo posso fare anche io”, ma bensì “forse è meglio che investa più tempo nell’arte nobile del giardinaggio” questi è Michele Mari. Ho letto per ora tre sue cose: Rosso Floyd, Rodderick Duddle, Cento poesie d’amore a Ladyhawke. Ho iniziato e non ho finito altri tre sui libri, ma più per motivi miei che suoi. Comunque. A me bastano quei tre per dire che se uno cerca, come io cerco, cose particolari, trasversali, inclassificabili, beh, Mari offre molte risorse.
Rosso Floyd non è una biografia dei Pink Floyd, e nemmeno un romanzo nel senso tradizionale. È un coro di voci: musicisti, mogli, tecnici, amici, giornalisti, tutti parlano, ricordano, raccontano brandelli di vita e di musica. Il risultato è un mosaico che restituisce la grandezza e le ferite di una band che ha segnato un’epoca. Quello che mi ha colpito è l’intensità della scrittura di Mari: ogni voce sembra vera, ogni frammento diventa parte di un’unica polifonia che è letteraria prima ancora che musicale. È un libro che non si limita a “raccontare i Pink Floyd”: li reinventa, li trasforma e ce li restituisce in modo del tutto personale.
Darò conto di altre letture di suoi testi. Senza dubbio.